Oltre cinque secoli e il mormorio di corte non ha spento la sua eco. Che don Diego fosse un giovane alto, muscoloso, elegante, si raccontava. Vederlo è altro. Vederlo con gli occhi di uno storico è altro ancora. I tratti del suo volto non sono più soltanto il marmo che decora il mausoleo, nel convento di San Francesco a Folloni di Montella. La sua abilità, nel maneggiare la spada, oggi è meno leggenda e più storia. Resta il giallo, che è tutto in quel mormorio della corte aragonese sul suo amore per Eleonora d’Aragona. Un pettegolezzo di fine quattrocento che è il giallo consegnato alla storia sulla sua morte. Don Diego non sarebbe morto semplicemente per la ferita riportata nella battaglia di Otranto, contro i turchi di Maometto II. Ma un medico, tradendo il giuramento d’Ippocrate, non lo avrebbe curato. Inizia così il processo a distanza di oltre cinque secoli. Un processo con esami di laboratorio, con la moderna tecnologia. Sarà un mistero svelato dalla polvere, quella finissima rinvenuta accanto ai resti di Diego Cavaniglia, conte di Montella. Tra quelle polveri potrebbe ancora esserci un capello del giovane nobile, morto a soli 28 anni nel 1481. E da un capello potrebbe riaffiorare il veleno che il figlio naturale di re Ferrante d’Aragona, Alfonso, gli avrebbe fatto somministrare per cancellare quella figura un po’ scomoda di chiacchierato amante di sua sorella Eleonora. Dal passato riemerge il giallo che ha appassionato molti storici, quasi tutti, a eccezione di Scandone, concordi nel ritenere che quel giovane alto, possente, elegante ebbe una storia d’amore con la principessa Eleonora. La storia di don Diego adesso è tutta da ricostruire, attraverso gli abiti, attraverso i suoi resti. Era alto un metro e settanta, forse settantacinque. Non poco rispetto alla media dell’epoca. I tratti del suo cranio corrispondono esattamente a quelli riprodotti nella statua del suo mausoleo. E anche gli abiti rinvenuti sono gli stessi che l’artista Jacopo Della Pila ha riprodotto nella sua scultura. Il marmo bianco prende i colori del rosso della giornea che don Diego indossava sopra l’armatura. E sono gli abiti a parlare del giovane cavaliere: mostrano cura nel vestire, attenzione alla moda più ricercata dell’epoca e una corporatura asimmetrica. Don Diego era destro e il suo braccio era più possente del sinistro. Proprio accanto al braccio destro ci sono tracce di metallo, probabilmente la spada. Osservazioni dedotte dalla professoressa Lucia Portoghesi, esperta di storia del costume che ha riportato alla luce, dalla polvere e dalla calce, gli abiti del conte Cavaniglia. Calce anche sulle ossa. Ma è stata rimossa in tempo, prima che potesse corrodere altre preziose tracce di una storia così affascinante. Anche la calce parla: i resti di don Diego non sono stati trovati il 1 marzo scorso, ma già durante i lavori di restauro nel convento di San Francesco a Folloni subito dopo il terremoto del 1980. Qualcuno tra gli operai li ha riposti senza tanta grazia in un involucro di plastica e murati di nuovo nei pressi del mausoleo. E’ lì che don Agnello li ha trovati assieme ad alcuni ragazzi che frequentano il convento. E da lì è cominciata l’indagine, dopo cinque secoli. Ma il riposo di don Diego è stato turbato più volte. Di sicuro sul finire del 700 quando la chiesa del convento è stata ricostruita e le spoglie del conte trasferite. Da lì ancora riposte in malomodo negli anni 80. Forse non saranno state le uniche volte, secondo Enzo Di Benedetto, il medico legale di Montella che ha lavorato alla ricomposizione dei resti. Per il conte di Montella si prepara ora un altro viaggio, verso l’università di Pisa, dove esperti che hanno già lavorato alle indagini sui resti di Petrarca, della famiglia medicea, cercheranno le tracce di un complotto di oltre cinque secoli fa.
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